Recensioni

venerdì 27 febbraio 2015

Recensione: Il gusto proibito dello zenzero di Jamie Ford


Il libro narra la storia di Henry Lee, un ragazzino cinese che vive a Seattle, nel periodo della seconda guerra mondiale. Dopo l'attentato di Pearl Harbor i Giapponesi sono divenuti spietati nemici sanguinari e la loro presenza nel territorio americano non è vista di buon occhio.
  A causa dei tratti somatici e del colore della pelle, Henry subisce ogni giorno violenze ed insulti dai compagni di scuola, plagiati dai discorsi razzisti degli adulti che li educano.

  Il padre di Henry impone al figlio di portare sempre sulla giacca il distintivo con la scritta: “Io sono cinese”, affinché non venga confuso con i giapponesi e si integri totalmente con la mentalità e le abitudini del popolo americano.
  Henry, sempre in tacito contrasto con i pensieri paterni, non si oppone, ma nutre costantemente dentro di sé i semi della ribellione.
  Un giorno Henry incontra due occhi simili ai suoi: Keiko, “capelli neri e frangetta sbarazzina, l'aria timida e smarrita”, ma lei è giapponese.
  Tra i due nasce subito una profonda amicizia, generata dal sopportare costantemente i soprusi dei coetanei razzisti, ma col tempo il loro legame si trasforma in qualcosa di più profondo: un amore puro e spontaneo, innocente e spensierato, un amore del tutto impossibile. Questo renderà suo padre ancora più ostinato, ma Henry troverà sempre il modo per star vicino ed aiutare Keiko.

  Dopo quarant'anni viene riaperto l'hotel Panama, chiuso dagli anni della guerra. Nei suoi scantinati si trovano ancora conservati intatti tutti gli oggetti che i giapponesi hanno cercato di salvare dopo essere stati obbligati ad abbandonare le loro case del quartiere di Nihonmachi.

 “Nella cantina dell'hotel Panama il tempo pare essersi fermato: sono passati quarant'anni, ma tutto è rimasto come allora. Nonostante sia coperto di polvere, l'ombrellino di bambù brilla ancora, rosso e bianco, con il disegno di un pesce arancione. A Henry Lee basta vederlo aperto per ritrovarsi di nuovo negli anni Quaranta.” [cit. dalla seconda di copertina]

  Nella narrazione si alternano il tempo passato e quello presente in cui Henry rievoca gli avvenimenti e si rapporta con il figlio, cercando dentro di sé di cancellare le tracce del suo carattere che assomigliano a quelle del padre e costruendo via via un nuovo rapporto, fondato sulla fiducia e la stima reciproca.

  La storia è molto emozionante e coinvolgente, ma, secondo me, il tratto saliente da cogliere nel suo significato profondo è un fatto storico che non viene mai evidenziato nei libri di storia: il popolo americano, che nella nostra cultura viene sempre descritto come “portatore di salvezza”, durante la seconda guerra mondiale ha operato alla stregua del popolo tedesco. Forse non ha messo in atto stermini di massa, ma comunque ha deportato, sradicandoli dalle loro case e dalla loro vita, milioni di giapponesi. Penso che nella cultura europea, non soltanto per questi fatti, ma per molti altri, bisognerebbe rivedere la nostra opinione sul popolo americano che ci hanno “costretto” ad adorare.

  Il libro tratta con toni molto delicati i temi dell'odio e del razzismo e con la stessa delicatezza narra di amicizia e di amore, di fiducia e di speranza.
  Sono bellissime le figure di Henry e Keiko e l'amore che essi nutrono per la musica jazz, che diviene la colonna sonora del libro.
  Molto bella anche la figura di Sheldon, l'artista di strada che suona le note del jazz col suo sassofono, che rappresenterà per molti versi il padre che Henry non ha mai avuto al suo fianco.

Luce


martedì 24 febbraio 2015

Invito alla lettura di... "Cent'anni di solitudine" di Gabriel Garcia Marquez

Ho rispolverato una mia vecchissima copia di un romanzo molto particolare che è divenuto una tra le opere più significative della letteratura del Novecento.
  Lo lessi la prima volta tanti anni fa, quando la mia mente non era ancora pronta per accogliere in pieno questo capolavoro, così, in questi giorni, mi sono rituffata tra le pagine ingiallite, profumate di caramello e di chiodi di garofano, e mi sono immersa completamente in questa splendida lettura che consiglio vivamente.



Il libro è “Cent'anni di solitudine”, un romanzo del 1967 dello scrittore colombiano Gabriel Garcia Marquez, premio Nobel per la letteratura nel 1982.
  Il romanzo narra le vicende della famiglia Buendìa, che si svolgono nell'arco di un secolo a Macondo: una città immaginaria, immersa nella foresta colombiana, nei pressi della costa del Mare Caraibico.
 La città è fondata dal capostipite José Arcadio Buendía, che, partendo da Riohacha, s'inoltra nella sierra per quasi due anni, imbattendosi in un enorme galeone spagnolo, fino a raggiungere il territorio in cui sorgeranno le prime case di fango che verrà denominato Macondo.

“Quando si svegliarono, già col sole alto, rimasero stupefatti. Davanti a loro, circondato da felci e palme, bianco e polveroso nella silenziosa luce del mattino, c'era un enorme galeone spagnolo. Leggermente piegato a tribordo, dalla sua alberatura intatta pendevano i brandelli squallidi della velatura, tra sartie adorne di orchidee. Lo scafo, coperto da una nitida corazza di remora pietrificata e di musco tenero, era fermamente inchiavardato in un pavimento di pietre. Tutta la struttura sembrava occupare un ambito proprio, uno spazio di solitudine e di dimenticanza, vietato ai vizi del tempo e alle abitudini degli uccelli. Nell'interno, che la spedizione esplorò con un prudente fervore, non c'era altro che un fitto bosco di fiori.” [cit.]

Il romanzo è un susseguirsi di numerose vicende, dai contorni surreali, tragici, umoristici, realistici e magici, di sette generazioni della famiglia Buendìa. In seguito questo stile narrativo verrà denominato "realismo magico".
  La narrazione non è lineare e la circolarità che caratterizza il tempo della vita dei vari discendenti di José Arcadio e di Ursula, si ritrova nello scorrere delle vicende narrate dall'autore.
  I Buendia, infatti, sono segnati da un destino che si ripete per ogni discendente: agli uomini della famiglia vengono dati gli stessi nomi e ad ogni nome corrispondono determinate caratteristiche. I Jose Arcadio presentano il fisico massiccio, sono estroversi, energici, ma destinati ad un'esistenza solitaria, mentre gli Aureliano sono minuti, solitari, introversi e dotati di chiaroveggenza.
  Le donne hanno una caratterizzazione peculiare, ognuna differente dall'altra. Tra uomini, spesso vittime delle loro stesse passioni, tanto da soccomberne, spicca la praticità e la forza di una donna: Ursula, che è in grado di trascinare la volontà degli uomini e tenere in piedi la propria famiglia.

Quando riconobbe la voce della bisnonna, girò la testa verso la porta, cercò di sorridere, e senza saperlo ripeté una antica frase di Ursula.
"Cosa vuole," mormorò, "il tempo passa."
"Così è," disse Ursula, "ma non tanto."
  Dicendolo, si rese conto che stava dando la stessa risposta avuta dal colonnello Aureliano Buendìa nella sua cella di condannato, e ancora una volta rabbrividì constatando che il tempo non passava, come lei aveva appena finito di ammettere, ma che continuava a girare in giro. Ma nemmeno allora cedette alla rassegnazione.”[cit.]

  Seguire l'avvicendarsi dei personaggi, sia di quelli vivi che di quelli morti (che fanno sovente la loro comparsa nelle vicende narrate) diviene in alcuni tratti molto complesso. Questo schema tratto da wikipedia delinea tutto l'albero genealogico e può essere molto utile consultarlo durante la lettura.



  Mentre i personaggi sembrano vivere in un tempo circolare, la città di Macondo vive lunghi periodi di evoluzione, seguiti da un lungo periodo di declino totale. Dalle case di fango si passa a quelle di mattoni, poi ai pavimenti in cemento e ai tetti di zinco; poi l'evoluzione prosegue con la costruzione della cittadella della compagnia bananiera circondata da una rete elettrificata. Macondo si anima e si apre all'esterno grazie anche all'avvio della rete ferroviaria. Ma con l'avvento della compagnia bananiera, con il conseguente massacro dei lavoratori e con lunghi anni di diluvio che portano alla rovina di molte case, compresa quella dei Buendía, si avvia un lungo ed inesorabile declino. La prosperità, i ricordi e le grandi solitudini dei componenti della famiglia Buendìa si vanno perdendo definitivamente nel pomeriggio in cui un vento violentissimo spazzerà via il villaggio facendolo scomparire per sempre.

 Spero che questo piccolo spunto possa incoraggiare la lettura di questo intenso capolavoro.
Buona lettura :D 

Luce 

domenica 22 febbraio 2015

Recensione: Era del sole di Elisa Erriu

Alcuni mesi fa ho avuto la grande opportunità di leggere un libro fantasy molto particolare ed essendo rimasta molto colpita presi contatti con l'autrice, una persona cortese e splendida, che sommessamente chiese il mio parere sul suo libro. Allora non riuscii ad aprire il blog ma scrissi una recensione con la promessa che appena avrei dato vita al mio blog avrei postato come prima recensione proprio quella inerente allo stupendo libro di questa autrice fantastica.
  Il libro in questione è “Era del sole” di Elisa Erriu, del quale allego la splendida copertina.


 
“Era del sole” è un libro del genere fantasy. In esso si narra una storia molto avvincente, in cui si mescolano spunti di diverse ideologie, miti e fantasie, in un intreccio di vari elementi “classici” della cultura Giapponese, revisionati in una nuova chiave di lettura fantasiosa.
  I Kami, divinità con sembianze demoniache, e gli Yokai, esseri mutaforma creati dall’unione di due anime compaiono lungo il dipanarsi delle varie avventure che coinvolgono la protagonista Dalia, che è la reincarnazione della Dea suprema, la quale custodisce l'Era ed è l'unico essere capace di determinare la fine dell'antica disputa tra il bene e il male.
  La narrazione segue uno schema molto originale. Nelle prime pagine la storia si sviluppa su due piani differenti: quello della storia fantastica che vi si narra e quello della scrittrice di questa storia. Man mano che si scorre nella lettura, un grande colpo di scena fonde in un' unica narrazione i diversi piani, rendendo la storia ancora più coinvolgente ed appassionante.
  La modalità di scrittura è molto ricercata e, a tratti, anche un po' complessa. Ma nell'insieme il libro si legge sentendosi molto coinvolti ed incuriositi dalla presenza di molti elementi fantastici, animali totem, divinità demoniache e personalità doppie in contrasto fra loro.
  Il libro si conclude con la frase “l'Amore vince tutto”, ma la storia non è per nulla conclusa e chi, come me, ha letto questo primo libro aspetta con ansia la sua continuazione, per proseguire questo lungo sogno!



Concludo questo post con le parole dell'autrice Elisa Erriu sulla quarta di copertina del libro:


 
I sogni siamo noi,
Sono alle volte ciò che è più reale
di noi stessi.
Sono le nostre speranze,
le nostre scelte, il nostro Spirito.
Sono le nostre uniche armi
per combattere un destino
che non ci appartiene”



Luce

sabato 21 febbraio 2015

Presentazione della libreria di Luce

Ciao! Benvenuti nella libreria di Luce! Sono una grande appassionata di libri e da tanto tempo conservo nel cassetto il sogno di poter aprire un blog in cui poter condividere la mia passione con persone amanti della lettura come me. Spero che in questo angolo libroso troverete qualcosa che vi possa interessare! Se volete, lasciate una traccia del vostro passaggio con un commento. Sarà molto gradito. Grazie <3
Luce